"Ho detto no al racket" | E i ragazzi applaudono - Live Sicilia

“Ho detto no al racket” | E i ragazzi applaudono

Festival della legalità, le vittime
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Momenti di vera emozione e persino di commozione, nella mattinata del Festival della legalità dedicata ai racconti degli imprenditori coraggiosi che hanno deciso di dire “no” al pizzo, “no” alla mafia. Emozione, tra gli zaini e gli occhi dei giovani che hanno, per una volta, sentito parlare di mafia senza giri di parole, ma attraverso l’esperienza vera di chi Cosa Nostra l’ha vista in faccia. E ha deciso di voltarle le spalle. A cominciare da Giusi Castiglione, titolare di un’azienda di vendita di polli, che s’è detta subito “commossa nel parlare davanti a tanti giovani, che sento un po’ come i miei figli”. E nelle storie degli imprenditori, proprio i ragazzi sembrano recitare un ruolo fondamentale nelle scelte dei propri genitori-imprenditori di ribellarsi alla mafia. “Nella mia azienda – racconta Giusy Castiglione – si sono presentati subito e a volto scoperto. Mi volevano convincere quasi di fare parte della mia impresa. E noi abbiamo pagato per molti anni”. Poi, è successo qualcosa: “Quando è morto mio marito, la loro prepotenza è persino aumentata. Finivano per sedersi sulla mia scrivania. Sembravano i padroni.Così, ho deciso di denunciare”. Una scelta non facile: “All’inizio mi sono sentita un po’ sola. Poi, ho visto cambiare la mentalità, anche grazie ad Addiopizzo e alla disponibilità dei carabinieri. Dopo la mia denuncia, i responsabili sono stati arrestati. Possiamo farcela. Dobbiamo farcela. Anche per poter guardare negli occhi i nostri figli”.

A Giuseppe Todaro, titolare di un’azienda di conservazione degli alimenti, chiesero ben 24mila euro, e lui inizialmente decise di pagare: “Per questo, prima di parlare, chiedo sempre scusa. Io pagai a Carini, quando Gaspare Di Maggio, il capomafia della zona, venne da me e mi disse, senza mezzi termini: ‘Se vuoi continuare a lavorare qui, devi pagare. Altrimenti ti facciamo chiudere'”. Andato via il boss, la sensazione di essere rimasto da solo: “Ho chiesto consigli a molta gente, e tutti mi dicevano che il pizzo era sempre stato pagato e così sarebbe stato per sempre. A me, a Carini, addirittura facevano la fattura per servizi inesistenti. Una volta che i mafiosi entrano nella tua azienda – continua Todaro – ne prendono il possesso. Al punto che mi sentivo un pupazzo messo da parte”. Poi, anche in questo caso, la percezione netta di un cambiamento in atto: “Addiopizzo ha cambiato molto in questa città. La solitudine è scomparsa”. E decisivo, anche, quello strano “senso di colpa” nei confronti dei propri figli: “Non so se tra venti anni avrò un’impresa – ha detto Todaro – ma se non mi fossi ribellato, insieme ai tanti begli insegnamenti, a mio figlio avrei dovuto anche dire: ‘guarda che alla fine del mese pazza lo zio Pino a prendersi i soldi’. Non me lo sarei mai perdonato”. Quindi, un invito ai ragazzi: “Non credete che quella del mafioso sia una vita di successo. Per i mafiosi le alternative sono poche: vivere tutta la vita in uno sgabuzzino, essere ucciso da un rivale, o passare tutta la vita in galera. E ricordate – ha concluso – la mafia non fa mai il vostro interesse”.

A Giosafat Di Trapani, addirittura, chiesero 50mila euro. “Il nostro settore, quello delle costruzioni, – racconta – è sempre stato molto sensibile a questo tipo di richieste. Così decidemmo di pagare. Avevamo paura di ritorsioni, visto che avevamo l’impressione che quella gente avesse in mano tutto il territorio”. Poi, l’avvicinamento a “Libero Futuro”: “Decisi di denunciare, ho visto che non ero più solo. Certo, è una scelta difficile, il nostro è un percorso nel quale il coraggio cresce man mano”. E, oltre a quello degli imprenditori, ecco il sostegno delle Forze dell’ordine: “Mi sono sempre stati vicini. Grazie a loro incastrammo i miei estortori. Un agente si confuse tra i miei dipendenti, e filmò la richiesta di pizzo. Il mio estortore era appena uscito di galera, dove aveva scontato nove anni. Appena fu arrestato, decise subito di pentirsi e così furono arrestate altre 37 persone. Questo è un chiaro segnale: la mafia si sta sgretolando”.

Nino Casano, è un imprenditore di Carini, e decide di non nascondersi dietro a un dito: “Per gli imprenditori, esistono due tipi di atteggiamento nei confronti del racket. Alcuni pagano e non sono contenti, altri hanno dei vantaggi nel sottostare al racket”. Quindi racconta la sua storia: “Nel 2003 mi nominarono amministratore delegato della società. Dopo qualche settimana sono venute delle persone a dirmi che quell’azienda aveva sempre pagato, e avrebbe dovuto continuare a pagare”. E inizialmente, anche Casano si piegò al pizzo: “Poi, grazie a Libero Futuro, Confindustria e i Carabinieri, decisi di denunciarli. Non credo che qualche anno prima avrei trovato il coraggio”. Gli arresti sono arrivati puntuali. Eppure qualcuno, sempre più giovane, tornava periodicamente a fare la stessa richiesta. “Una volta, però, una persona si fece trovare davanti al mio cancello. E non la feci nemmeno parlare. Gli dissi: ‘Attento a quello che sta dicendo, perché sto per chiamare i carabinieri’. Rimase senza parole. Io entrai nella mia azienda. Lui alla fine fu arrestato”.

Applausi dei ragazzi. Non solo alla fine di questo intervento. Ma, spontanei, hanno scandito invece tutti i momenti più toccanti dei racconti. Emozionando gli stessi imprenditori. Per qualche ora, i ragazzi delle scuole, hanno visto, attraverso questi racconti, la mafia in faccia. E hanno visto, soprattutto, che può (e deve) essere sconfitta.

(nella foto di Gaia Anderson, un momento del dibattito moderato da Riccardo Lo Verso)


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