Ma chi la salva Palermo? - Live Sicilia

Ma chi la salva Palermo?

La colpa è di tutti. Cioè di nessuno. Mentre Palermo affonda sotto un cumulo di macerie, munnizza, disoccupazione, proteste e automobilisti rassegnati, mentre si conduce a fatica e con sgomento la conta dei disagi e tra poco dei feriti, la domanda è: di chi è la colpa? Risposte plausibili. Di Orlando che ci ha regalato i precari. Di Cammarata che non ha fatto niente per rimandare il dono al mittente. Dei lavoratori senza prospettive che mettono la città a ferro e fuoco. Della politica, dell’opposizione, della maggioranza, di Santa Rosalia, di Zamparini, di Ilicic… E’ una questione che – pensiamo – andrebbe risolta con comodo fra qualche decennio. Manca un altro punto interrogativo, forse più urgente: come si salva Palermo? Ora.

L’atteggiamento isterico è da aereo in fase di schianto. Quando, perduta ogni speranza, il pilota prega, l’equipaggio si accusa reciprocamente e il tizio dell’ultima fila “se ne parte” per l’hostess più procace, pensando: “Almeno cu me priu…”. Metafora aeronautica e facezie a parte, le lamentele abbondano, però non ci sono le ricette. E non ci sono perché non le conosce nessuno. Non ce n’è uno che sappia come salvare definitivamente Palermo. Subito.

Non lo sa, né potrebbe, il commissario Latella che sta galleggiando, con senso di responsabilità,  alla disperata ricerca di una quadratura del cerchio che, nel frangente in corso, appare complicata. Talché il ruolo commissariale somiglia a un accompagnamento funebre. Bisogna scegliere i paramenti del lutto, la chiesa, il coro di verginelle e le modalità della tumulazione.

Non lo sanno i candidati sindaco. Scusate, non disturbateli. Ssssst. Parlano del futuro. Di ciò che (non) sarà. Nella metropoli di domani, a misura di marketing elettorale, zampilleranno chicchi per arancine (al burro) dalla fontana di Piazza Pretoria. Le strade saranno levigate e dolci, onde evitare il colpo della strega del povero palermitano a quattro ruote con relativa imprecazione, che tanto dispiace alla Santuzza nostra. Non ci sarà più la munnizza. E, in sua memoria, sarà posto un cassonetto di marmo a piazza Indipendenza.

Verosimilmente, continuando così – e non c’è motivo di credere che debba andare diversamente – i candidati sindaco falliranno il loro compito salvifico. Anzi, hanno già toppato. Non ci sarà mai una città del domani da ricostruire. Non ci saranno cittadini da rimettere in pista. Non ci sarà Palermo, oppure sarà già all’estremo respiro, un corpo disgregato e moribondo, refrattario a ogni terapia.

Non c’è all’orizzonte un medico che abbia il farmaco giusto per la malattia che ci sta avvolgendo e ci toglie il fiato. Servirebbe adesso. L’otto maggio sarà tardi.
In casi del genere, il destino è segnato. Metafora sanitaria?  Il paziente muore,  nel frattempo i camici del pronto soccorso si picchiano e si insultano davanti ai parenti del defunto. Quando nulla si può più tentare, l’unico sollievo è stabilire l’identità dell’assassino e la durata dell’agonia. E’ il vecchio sport pilatesco, praticato dalla politica a misfatto avvenuto: lavarsi le mani. Si sa. La politica, nei giorni del disastro, sta sempre in ultima fila.

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