Dell'Utri, i giudici decidono | Il pg: un nuovo processo - Live Sicilia

Dell’Utri, i giudici decidono | Il pg: un nuovo processo

La Cassazione
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Dopo la trattazione dell’udienza del processo Dell’Utri, i supremi giudici hanno trattato in pubblica udienza il ricorso di un altro imputato e hanno chiuso le porte dell’aula per ritirarsi in camera di consiglio. La decisione dovrebbe arrivare in serata. Nel ruolo di udienza erano iscritte, complessivamente, 21 cause.

Il pg chiede un nuovo processo
Il sostituto procuratore generale della Cassazione
, Francesco Iacoviello, nella sua requisitoria innanzi alla V sezione penale della Cassazione, ha chiesto il rigetto del ricorso presentato dalla procura della corte d’appello di Palermo per chiedere una condanna più pesante nei confronti del senatore del Pdl, Marcello Dell’Utri. Il ricorso del pg di Palermo, Antonino Gatto, chiedeva anche il riconoscimento delle accuse per concorso esterno per fatti successivi al ’92.

Iacoviello ha chiesto anche l’annullamento con rinvio della sentenza di condanna a sette anni di reclusione. In alternativa, il pg ha proposto che la vicenda sia trattata dalle sezioni unite penali. Il pg ha iniziato la sua requisitoria parlando delle “gravi lacune” giuridiche della sentenza d’appello per mancanza di motivazione e mancanza di specificazione della condotta contestata a Dell’Utri, che a suo avviso deve essere chiarita. Il pg inoltre ha dato atto al collegio della V sezione di essere di “grandissimo e indiscusso profilo professionale”. Il collegio, infatti, è stato criticato da articoli di stampa e il Csm ha aperto una pratica a tutela.

Per “Dell’Utri non è stato rispettato nemmeno il principio del ragionevole dubbio – ha aggiunto Iacovello – l’accusa non viene descritta, il dolo non è provato, precedenti giurisprudenziali non ce ne sono e non viene mai citata la sentenza ‘Mannino’ della Cassazione, che è un punto di riferimento imprescindibile in processi del genere”.

“Il concorso esterno è ormai diventato un reato autonomo – ha continuato il pg – , un reato indefinito al quale, ormai, non ci crede più nessuno! Spetta a voi il compito di smentirmi. Vi invito a rileggere la sentenza ‘Mannino’ nella quale le frequentazioni di persone mafiose o contigue ai clan sono molte di più di quelle che ricorrono nella vicenda di Dell’Utri, e vi esorto a ricordare che le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno fatto piazza pulita dell’importanza attribuita dai giudici di merito a questi elementi. Il pg ha poi insistito che descrivere l’imputato come “il referente o il terminale politico della mafia, non significa nulla: non si fanno così i processi, si devono descrivere i fatti in concreto”.

La storia del processo
Si parte dalla condanna a sette anni
per concorso esterno in associazione mafiosa emessa il 29 giugno del 2010 dalla corte d’appello di Palermo. Da quei giudici che nelle motivazioni hanno definito l’imputato uno “specifico canale di collegamento” tra Cosa nostra e Silvio Berlusconi.

Dell’Utri ha avuto uno sconto di pena. Da nove a sette anni, in virtù di  quella netta linea di demarcazione tra i fatti avvenuti prima e dopo il 1992. I  giudici scrissero che l’imputato “ha apportato un consapevole e valido contributo al consolidamento e al rafforzamento del sodalizio mafioso”. In particolare, avrebbe consentito ai boss di avvicinare “una delle più promettenti realtà imprenditoriali di quel periodo che di lì a qualche anno sarebbe diventata un vero e proprio impero finanziario ed economico”. Si tratta dell’impero di Silvio Berlusconi, nella cui residenza, ad Arcore, su indicazione di Dell’Utri arrivò il mafioso Vittorio Mangano. Fu assunto come stalliere, secondo l’accusa, non tanto per accudire i cavalli quanto per proteggere l’incolumità di Berlusconi. Tramite Mangano Dell’Utri si avvicinò “all’imprenditore milanese in rapida ascesa economica… avviando un rapporto parassitario protrattosi per quasi due decenni”.

Berlusconi avrebbe pagato “ingenti somme di denaro in cambio della protezione alla sua persona e ai familiari”. La mediazione del senatore avrebbe consentito “all’associazione mafiosa, con piena coscienza e volontà, di perpetrare un’intensa attività estorsiva ai danni del facoltoso imprenditore milanese imponendogli sistematicamente il pagamento di ingenti somme di denaro in cambio di “protezione” personale e familiare”. Tutto questo fino al 1992, quando i pagamenti cessarono.

I giudici d’appello, invece, non hanno accolto la tesi della Procura secondo cui Dell’Utri avrebbe stipulato nel 1994 un “patto di scambio” politico-mafioso: “Non risulta infatti provato – si legge nella motivazione – né che l’imputato Marcello Dell’Utri abbia assunto impegni nei riguardi del sodalizio mafioso, né che tali pretesi impegni, il cui contenuto riferito da taluni collaboranti difetta di ogni specificità e concretezza, siano stati in alcun modo rispettati ovvero abbiano comunque efficacemente ed effettivamente inciso sulla conservazione e sul rafforzamento del sodalizio mafioso”. Ecco perché da quest’accusa Dell’Utri è stato assolto in appello.


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