Referendum, merce di scambio - Live Sicilia

Referendum, merce di scambio

Il punto sul Pd
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C’è qualcosa di più grave, all’interno di un partito, che rendere problematico lo svolgimento di un referendum previsto dallo statuto e non avere approvato, dopo più di due anni dall’approvazione dello statuto stesso, il relativo regolamento. La cosa più grave è non accontentarsi di questo e fare un passo ulteriore. Consistente nel raccogliere le firme degli iscritti per indire l’iniziativa dentro i gazebo, avente per oggetto il sostegno, o meno, al governo Lombardo, racimolarne più di cinquemila e poi utilizzarle come merce di scambio nel mercato della trattativa interna tra fazioni contrapposte. E’ quanto sta avvenendo nel Partito Democratico in Sicilia, tanto che non si capiva più a cosa doveva servire l’assemblea regionale dei delegati. Che infatti è stata annullata. In un partito tale non soltanto di nome, visto i marosi che lo agitano proprio su tale questione, il regolamento del referendum, e la data in cui svolgerlo, doveva essere il primo e unico punto all’ordine del giorno. Inserendo pure, tra le varie ed eventuali, un bel confronto sulla questione morale, visto quanto è appena accaduto al deputato regionale più votato, e qualche cenno al sondaggio che relega il PD, nell’isola, al 18 per cento, più di sette punti in meno in tre anni. 

A tal proposito, dalla segreteria regionale affermano che il dato da tenere presente non si deve riferire alle politiche del 2008, ma al voto regionale dello stesso anno. Nel quale, considerato anche i consensi della lista che appoggiava la Finocchiaro, il PD arrivò quasi al 22 per cento, subendo comunque una batosta colossale. Come risultato elettorale di riferimento, dunque, non è proprio il massimo della vita. Insomma, la carne al fuoco c’era. Invece è andato in onda un altro film. La commissione per il congresso rimanda la patata bollente a maggio. E’ sin troppo chiaro che questo rinvio rappresenta una pietra tombale sul referendum e l’inizio di una fase ecumenica nella gestione del partito. Ognuno avrà il pezzo di pietanza che vuole. Con buona pace di tutti, o quasi.

Agli aderenti al Partito Democratico si comunica che si trattava di uno scherzo, un diversivo. In poche parole, una solenne presa in giro. Per una parte consistente di coloro che hanno promosso l’iniziativa referendaria, si trattava di una minaccia agitata sotto il naso dei lombardiani duri e puri per ottenere il quinto governo regionale. Quello politico, con assessori di stretta provenienza partitica. Richiesta che adesso trova più di una disponibilità. Ottenuto lo spazio che chiedevano, quelli del referendum o morte hanno messo in soffitta le intenzioni belliche. Definirla politica da prima repubblica, significa fare uno sgarbo a un periodo in cui sulla scena politica si muovevano, insieme a tanti capaci di tutto, pure persone di un certo spessore.

Ma si può condurre un partito in questo modo? Evidentemente sì. Viene ritenuto normale che una formazione politica sia di proprietà di alcuni, l’un contro l’altro armati, che dispongono come vogliono, e quando vogliono, di un agglomerato di donne e uomini, la famosa base. Che non si capisce più cosa sia e alla quale non resta che accettare in silenzio quanto scelgono i capoccia. Questo è tanto più vero se consideriamo la circostanza che non vediamo alcuna presa di posizione significativa da parte dei cinquemila e più che anelavano al referendum, mettendoci, oltre le firme, anche le facce.

E perché succede anche questo? E’ abbastanza semplice da capire. Ormai i partiti, e quello Democratico non sfugge a questa deriva, sono composti soltanto da ultrà che seguono come ombre questo o quel consigliere comunale, provinciale, deputato regionale o nazionale che sia. Se il leader di riferimento prende una decisione, tutti all’attacco allineati e coperti, senza se e senza ma. Se il giorno successivo il capo cambia idea, perché è più conveniente seguire una diversa situazione, contrordine compagni e amici, la linea è un’altra. Ed ecco che le truppe si riallineano su un’altra trincea. A questo punto, probabilmente ha ragione chi sostiene che ci vuole un congresso straordinario e, aggiungiamo noi, una nuova segreteria regionale. Eletta, se non è chiedere troppo, con un mandato preciso e non ondivago.

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