Ecco perché l'aula a Norman | Ma quante bugie su mio figlio - Live Sicilia

Ecco perché l’aula a Norman | Ma quante bugie su mio figlio

di CLAUDIO ZARCONE Il ministro Gelmini, alla quale non mi lega nessun grado di parentela o di frequentazione, scrive una lettera con la quale chiede ufficialmente che a mio figlio Norman, morto non certo per cause naturali (ricordiamo che c’è ancora un magistrato che sta indagando) venga intitolata un’aula di Lettere e venga assegnato il dottorato alla memoria. Niente di scandaloso, mi pare, se un esponente del governo viene mosso da pietas umana, cristiana, o di altra forma spirituale, civile.
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di CLAUDIO ZARCONE Il ministro Gelmini, alla quale non mi lega nessun grado di parentela o di frequentazione, scrive una lettera con la quale chiede ufficialmente che a mio figlio Norman, morto non certo per cause naturali (ricordiamo che c’è ancora un magistrato che sta indagando) venga intitolata un’aula di Lettere e venga assegnato il dottorato alla memoria. Niente di scandaloso, mi pare, se un esponente del governo viene mosso da pietas umana, cristiana, o di altra forma spirituale, civile.

Poi che si possa essere d’accordo o contro la sua riforma, è un’altra questione. Mentre questo avviene le agenzie battono notizie che non smentiscono certo alcune mie tesi espresse e contenute peraltro nella riforma Gelmini: «In extremis, appena poche ore prima che il Senato approvi definitivamente il ddl di riforma dell’università che blocca ogni possibilità che si verifichino delle parentopoli, il rettore dell’università romana di Tor Vergata ha assunto la nuora. Lo ha scritto Il Messaggero, spiegando che Renato Lauro, 71 anni, preside della Facoltà di Medicina, oltre che rettore, ha appena chiamato come professore associato alla cattedra di Malattie dell’apparato respiratorio la dottoressa Paola Rogliani. Sua nuora, appunto. Che va ad aggiungersi al figlio, Davide Lauro, 41 anni, professore ordinario di Endocrinologia e al nipote, Alfonso Bellia, ricercatore di medicina interna». Lo stesso fenomeno accade, sempre a Roma, a “La Sapienza” ed è accaduto a Messina dove il Rettore ha avuto qualche “problemuccio” col nepotismo.

Ecco quelli che io ho sempre definito “baroni” o “mafiosi”, per intenderci. Sempre in un contesto legato alla lettera della Gelmini, interviene il senatore Fabio Giambrone, il quale non è certo un “aficionado” del ministro dell’Università e dell’Istruzione: «Abbiamo già fatto un appello al Consiglio di Facoltà dell’Università di Palermo – afferma il rappresentante di IDV –  affinché intitoli la sala lettura del nuovo plesso alla memoria di Norman Zarcone. Siamo lieti che il Ministro Gelmini abbia sposato la causa per ricordare la tragica vicenda di un giovane e brillante ricercatore lasciato solo dal mondo accademico». Aggiunge Giambrone, Capogruppo Idv in Commissione Istruzione al Senato: «L’aula della facoltà intitolata a Norman dev’essere il simbolo dell’impegno a garantire un futuro certo e stabile ai tanti ricercatori meritevoli: un gesto concreto contro lo strapotere delle baronie, che dev’essere debellato dall’Università pubblica per restituirla ai cittadini meritevoli. Sono moltissime le adesioni all’iniziativa – conclude Giambrone – e, pur rispettando l’autonomia dell’Ateneo, sarà inevitabile esprimere vicinanza ai tanti studenti che attraverso l’Università sperano di realizzare i propri progetti di vita».

Prima di Giambrone erano intervenuti sulla vicenda molti politici, fra i quali il presidente dell’Ars, Cascio, che aveva espresso il proprio intendimento favorevole all’intestazione dell’Aula: “‘Le istituzioni – aveva scritto Cascio – e la società civile hanno il dovere di non rimanere in silenzio e perciò, in qualità di presidente dell’Ars, ho sollecitato le forze politiche a predisporre ed esaminare in tempi rapidi un disegno di legge che promuova l’istituzione di una fondazione intestata a Norman e auspico che anche il mondo universitario si muova con tempestività per dare un giusto tributo alla memoria di questo brillante ricercatore, la cui scomparsa costituisce una ferita mai rimarginabile per l’intera collettività”.

Boatos da Lettere mi informano di un putiferio scatenato da alcuni docenti, i quali, non si capisce bene per quali motivi, visto che non ho mai fatto nomi, si sono sentiti punzecchiati da alcune mie dichiarazioni sulle baronie universitarie. Non entro in polemica, almeno per il momento, ma voglio ricordare quanto accade a Tor Vergata, per rendere chiaro, definitivamente, cosa intendo con baronie. Veramente, non comprendo questa specie di attacchi che vengono fatti alla memoria di mio figlio per colpire me, reo, solo di aver perduto il bene più prezioso e di aver gridato contro quel sistema astrattamente chiamato delle baronie. Io lo trovo molto vigliacco: accanirsi contro un giovane studioso che ha fatto la sua scelta più tragica e lacerante, per punire il padre che “parla troppo” (così mi è stato rimproverato) su giornali e televisioni.

Però voglio chiarire in via preliminare alcune cose: non ho mai inteso attaccare l’Università di Palermo come istituzione e agenzia formativa, né tanto meno il suo Rettore, sul quale ho già espresso attestati di stima, e non voglio ripetermi per evitare il sospetto di piaggeria. Non ho mai avuto dubbi sugli organi collegiali che guidano e governano l’Ateneo di Palermo sotto la guida di Lagalla, anche se sono stato spiazzato da alcune sue ultime dichiarazioni, in controtendenza con dichiarazioni precedenti. Ma il buonsenso, mi farà capire anche la logica di queste dichiarazioni. Per tale motivo continuo a credere nella diplomazia, nella volontà del progetto e nella sincerità d’animo del Magnifico di Palermo, per come lo ho conosciuto e per come abbiamo parlato a casa mia. Credo nel suo buongoverno dell’Ateneo (anche con l’istituzione del suo codice etico e i licenziamenti dopo lo scandalo degli esami non sostenuti ad Economia: guarda caso, in concomitanza con la morte di Norman, nello stesso periodo).

Non ho mai gridato contro l’Ateneo, l’Università come istituzione, il Rettore, il nuovo Preside di Lettere o gli altri Presidi di Facoltà, o l’intero corpo docente dell’intero Ateneo. Spero sia chiaro una volta per tutte. Ho apprezzato ed apprezzo tanti docenti che sono stati vicini a mio figlio lungo il suo iter formativo, che lo hanno aiutato con la loro guida ed i loro consigli, che gli hanno anche permesso di diventare quel giovane innamorato della filosofia, talentuoso ed educato. Ma non apprezzo né rispetto altri che gli sono stati ostili. Mi riferisco a persone senza volto, senza nome, senza identità dichiarata che dovrebbero conoscere le loro responsabilità quanto meno morali sulla vita di Norman e su come hanno offeso (e continuano a farlo con accanimento e sottotraccia) la sua fine sensibilità di ragazzo studioso, serio e di artista creativo.

Altra cosa che voglio chiarire una volta per tutte: Norman non si è suicidato per qualche forma di disagio giovanile (locuzione molto astratta e impropria che pregherei tutti di non usare a sproposito perché mi fa salire la mosca la naso), in quanto non si drogava, non beveva superalcolici, non frequentava le discoteche, aveva la ragazza, viveva in una famiglia tranquilla senza problemi economici, con casa di proprietà ecc. Il suo vero hobby, se così lo si può chiamare, era lo studio: otto ore al giorno e anche più, musica a parte. E d’estate faceva il bagnino in circolo nautico dell’Addaura. In quanto ai nessi di causa-effetto fra l’isolamento di mio figlio da parte di “alcuni” e il suo gesto, beh, ci sarebbe da discutere non certo in questa sede. Così come nulla è consequenziale, nulla è da scartare a priori, secondo logica e raziocinio che la situazione imporrebbe.

Quindi non capisco tanta acrimonia da parte di alcuni professori, peraltro mai chiamati in causa dal sottoscritto: ho la sensazione a pelle che “qualcuno” stia animando la fronda in una guerra personale contro di me, peraltro mai dichiarata pubblicamente. Qualcuno che è bravo ad agire nell’ombra, attraverso alleanze e adesioni contro la memoria del mio povero e sventurato figliolo, colpevole di chissà quale colpa inaccettabile dal sentimento civile e dalla stessa pietas umana.
Mi si dica quale delitto ha commesso Norman? E mi si dica dove ho sbagliato io quando ho accusato “certe” baronie universitarie che le cronache quotidiane ci dimostrano ogni giorno che esistono (Tor Vergata e La Sapienza sono appena la punta di un iceberg)? Mi si dica infine quale professore ho accusato direttamente con nome e cognome, per suscitare tanta acrimonia in alcuni docenti, ormai sul piede di guerra contro Norman e contro la mia famiglia?

Cosa avrei dovuto fare, tacere le debolezze di un sistema universalmente riconosciuto come “malato” (tesi avvalorata da molti fatti, voglio ricordare ancora), suicidarmi a mia volta perché incapace di sopportare questo immenso dolore, o gridare tutta la mia rabbia? Io ho scelto quest’ultima soluzione, anche se a qualcuno, non è piaciuto. Ma ne hanno figli, nipoti, fratelli questi qua che si accaniscono contro la memoria di Norman (per il quale parlano i suoi libretti universitari e la sua compostezza comportamentale durante le lezioni)?

Cerco a questo punto di comprendere anche la posizione e il ruolo di Roberto Lagalla e le pressioni che magari avrà subito, il quale ha dovuto difendere l’istituzione che governa e rappresenta e di lui mi fido ancora, come ho fatto fin qui, quando sostiene che si seguirà un iter naturale al Senato Accademico per l’intestazione dell’Aula e di altre iniziative. Chiarisco che da parte mia e della mia famiglia non abbiamo mai chiesto “azioni risarcitorie” dall’Ateneo, poiché niente potrebbe mai  risarcire la perdita di mio figlio.

Quindi pregherei cordialmente chiunque (giornalista, politico, accademico, opinionista) di evitare di porre la questione in questi termini antipatici sotto il profilo sostanziale e formale, che il sottoscritto non ha in nessun modo adoperato né in pubblico, né in privato con chicchessia. L’intestazione dell’Aula e il dottorato alla memoria non sono, né saranno in nessun caso un risarcimento, semmai, come spesso si è sottolineato da più parti, un riconoscimento dalla forte pregnanza pedagogica; un omaggio alla vita attraverso la memoria di chi alla fine si è sentito troppo isolato per poter continuare; un segno di rispetto del mistero della libertà individuale che mio figlio ha inteso a modo suo. Un memento per gli altri giovani che dovessero trovarsi in difficoltà esistenziale.

Continuo a nutrire fiducia sui buoni propositi espressi apertis verbis dai vertici accademici e dallo stesso Rettore, pubblicamente; confido nelle promesse fatte a mezzo stampa e personalmente a me medesimo e rimango in attesa dei prossimi risvolti. Sperando sempre che “qualcuno” piuttosto che attizzare il fuoco scelga stavolta la via della comprensione e della riflessione, specialmente se cristiano e specialmente in questo periodo. D’altronde l’ho sempre ripetuto, da parte di chi avrebbe dovuto tacere fin dal primo momento, il silenzio (enorme dispensa di parole, emozioni, stati d’animo e possibilità comunicative), sarebbe stato l’atteggiamento più consono per far tornare la pace fra chi non potrà mai darsi pace (cioè la mia famiglia) e l’Ateneo nel suo complesso, tirato in ballo non certo da me. La morte di mio figlio ha rovinato la vita della mia intera famiglia. Distrutta. Quindi trovo ideologico e veramente eccessivo tanto accanimento contro di me, contro mio figlio, contro la mia famiglia.

Io mi affido agli uomini, ai giovani di buonsenso affinché sposino la causa di Norman e di tutti i Norman d’Italia, aiutandomi nella mia battaglia per il giusto riconoscimento a mio figlio nel solo editto che conosco: quello della giustizia, sia essa morale o scritta dall’uomo.


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