"Per Riina c'è rimasto solo Dio" - Live Sicilia

“Per Riina c’è rimasto solo Dio”

L'intervista a don Michele Stabile
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Gli ottant’anni di Totò Riina offrono lo spunto per ascoltare la voce di don Michele Stabile, sacerdote della chiesa di San Giovanni Bosco a Bagheria, impegnato attivamente in una quotidiana opera di sensibilizzazione della gente, soprattutto dei giovani, nei confronti di temi come la legalità e la lotta alla mafia.

Don Stabile, oggi Totò Riina compie 80 anni. Un momento, nella vita di un uomo, in cui è inevitabile guardarsi allo specchio e riflettere sul bilancio della propria esistenza.
“Non penso sia conveniente riservare tanta attenzione agli ottant’anni di chi ha speso la propria vita a distruggere quella degli altri. Sarebbe più utile, magari, concentrarsi sul ricordo e sulla celebrazione di quanti hanno investito i propri giorni nella lotta alla criminalità”.

E’ possibile, anche per un personaggio come il padrino corleonese, contemplare un’idea di conversione che passi attraverso l’intercessione di un prete antimafia come lei?
“Più che ad un sacerdote, credo che Riina debba accostarsi a Dio, accogliendo dentro di sè la speranza di un perdono che venga direttamente da Cristo. La conversione è un percorso ampio e profondo di scelta, che giunge quando prendi coscienza dei tuoi errori, e metti in atto una serie di condotte che ti portano innanzitutto a non commettere più i tuoi sbagli; quindi a fare in modo che altri, dopo di te, non seguano i tuoi passi fallaci”.

Riina è stato un dispensatore di morte. Secondo lei qual è stato il suo errore “primordiale”, l’incipit che abbia dato il là a questo abominevole percorso di vita?
“L’errore più grave che un mafioso possa compiere, nel momento in cui uccide un uomo, è quello di aver detto l’ultima parola su quella persona. L’ultima parola spetta sempre Dio, è il Padre a portare a compimento il percorso di ciascuno di noi. E’ questo che quello che andrebbe compreso”.

Se avesse l’opportunità di entrare nella sua cella, che parole gli rivolgere?
“Da prete non posso che pregare per lui. Chi compie il male deve capire che la prima vittima di quel male è lui stesso. Chi vive sotto il segno della malvagità, vive sotto l’egida della morte. Per i buoni cristiani, invece, la morte non esiste perchè si vive nel segno di Dio che è vita”.

L’esistenza di un uomo come Riina potrebbe essere più intesa come la prova dell’esistenza del demonio, o di una sconfitta di Dio.
“Creando l’uomo, Dio gli fa una proposta che l’individuo può accettare o meno: quella di seguire un percorso di ‘unione’ il linea con gli insegnamenti del Signore. Oppure seguire quelli di ‘lacerazione’ del demonio che separa, allontana, distrugge. Il Padre eterno lascia aperta la porta del paradiso, ma sta all’uomo spingerla per entrare”.

Nell’immagine di Riina è difficile, se non impossibile, trovare qualsiasi richiamo alla fede. Un elemento che lo pone in netto contrasto con l’altro spietato padrino di Cosa nostra, Bernardo Provenzano, che dal momento della sua cattura ha ostentato i segni di una tanto profonda quanto improbabile religiosità.
“Il mafioso è un ateo. La mafia è ateismo. Al di là dei simboli che i boss possano tenere in mano. Sostituendosi, o credendo di potersi sostituire, a Dio, chi delinque dimostra di non credere in Cristo”.

L’opera di sensibilizzazione dell sensibilizzazione come la sua è un’arma efficace nella lotta alla mafia, perchè non nascano nuovi Riina.
“Decidendo di sposare una causa come quella del Cristianesimo, il sacerdote deve fare in modo di mettere in campo tutti gli strumenti per mettere in contatto la gente con Dio. L’opera di evangelizzazione sta proprio in questo, nel non limitarsi alle parole, ma andando oltre con i fatti concreti. La mafia la condanniamo perchè è contro il Vangelo”.


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